La Suprema Corte ribadisce ancora una volta la nullità delle clausole contrattuali che prevedono la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente per contrasto con l’art. 1283 codice civile.

Cass., Sezione Prima, 29 settembre 2015, n. 19314 – Rel. Mercolino (P.M. conf.) – S.G.A. S.p.A. (Avv. Manna) – Fallimento Camillo Porzio & C. Costruzioni S.r.l.

Contratti bancari – Operazioni bancarie in conto corrente – Disciplina – Anatocismo – Nullità –Applicazione analogica della disciplina del contratto di conto corrente ordinario – Capitalizzazione annuale – Esclusione

Le ragioni della nullità delle clausole contrattuali che prevedono la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente per contrasto con l’art. 1283 cod. civ., non investono esclusivamente il profilo della periodizzazione trimestrale, ma si estendono alla pratica dell’anatocismo in sé e per sé considerata e quindi a prescindere dalla cadenza annuale o trimestrale della stessa, dovendosi escludere in tema di operazioni bancarie in conto corrente l’applicazione analogica della norma dell’art. 1831 cod. civ. la quale, in tema di conto corrente ordinario, prevede la chiusura periodica del conto e la liquidazione del saldo.

Omissis. — 1. Con l’unico motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli articoli 1283, 1284 e 1374 c.c., articolo 1823 c.c., comma 2, articoli 1825, 1831, 1832 e 1857 c.c., nonché l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che, nell’escludere   l’applicabilità della   capitalizzazione   annuale degli interessi, la sentenza impugnata non ha considerato che nei rapporti bancari, ed in particolare in quelli di conto corrente, la relativa clausola è stata sempre ritenuta legittima in riferimento agl’interessi attivi, in ragione della periodica chiusura del conto. Nell’affermare l’illegittimità della capitalizzazione trimestrale, l’orientamento giurisprudenziale richiamato dalla Corte di merito ha d’altronde   ammesso   l’esistenza di un uso normativo   relativo all’anatocismo nei predetti rapporti, escludendo soltanto che esso si estendesse alla cadenza trimestrale della capitalizzazione; tale uso, invalso in epoca anteriore all’entrata in vigore del codice civile del 1942, aveva trovato consacrazione nell’articolo 1232 c.c. del 1865 e nell’articolo 347 del codice di commercio del 1882, ed è stato in seguito recepito anche nella L. 17 febbraio 1992, n. 154, articolo 8. La capitalizzazione degli interessi trova comunque riconoscimento nella struttura del contratto di conto corrente ordinario, che prevede la liquidazione degl’interessi in occasione delle periodiche chiusure del conto, ed è applicabile in via analogica anche nel conto corrente bancario, la cui disciplina rinvia a quella del conto corrente ordinario. 1.1. – Il motivo è infondato. Nell’escludere l’applicabilità della     capitalizzazione degli interessi, la sentenza impugnata si è infatti conformata all’orientamento della giurisprudenza di legittimità sviluppatosi a partire dal 1999, secondo cui le clausole dei contratti bancari che prevedano la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente devono considerarsi nulle per contrasto con l’articolo 1283 c.c., il   quale,   nell’ammettere l’anatocismo soltanto dalla   domanda giudiziale oppure per effetto di una convenzione posteriore alla scadenza degl’interessi, o ancora in presenza di usi normativi, non consente di identificare questi ultimi con le norme bancarie uniformi predisposte dall’Associazione Bancaria Italiana, alle quali può essere riconosciuto soltanto il carattere di usi negoziali, in quanto prive del requisito soggettivo costituito dalla convinzione di prestare osservanza, attraverso il comportamento tenuto, ad una norma giuridica   già esistente o che si ritiene debba   far   parte dell’ordinamento giuridico (c.d. opinio juris ac necessitatis) (cfr. Cass., Sez. 1, 11 novembre 1999, n. 12507; 16 marzo 1999, n. 2374; Cass., Sez. 3, 30 marzo 1999, n. 3096). Tale principio, com’è noto, è stato ribadito anche a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 425 del 2000, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’articolo 76 Cost., il Decreto Legislativo n. 342 del 1999, articolo 25, comma 3, il quale aveva fatto salva, fino all’entrata in vigore della delibera CICR di cui al comma secondo del medesimo articolo, la validità e l’efficacia delle clausole anatocistiche stipulate in precedenza: si è infatti chiarito che, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, tali clausole restano disciplinate dalla normativa anteriormente vigente, e si è escluso, in particolare, che il requisito soggettivo necessario per la configurabilità dell’uso normativo sia venuto meno soltanto per effetto del predetto orientamento giurisprudenziale, osservandosi che la funzione della giurisprudenza è meramente ricognitiva dell’esistenza e del contenuto della regola, e non già creativa   della stessa, con la conseguenza che,   in   presenza dell’affermazione di una regola rivelatasi poi inesistente, la ricognizione correttiva spiega efficacia retroattiva (cfr. Cass., Sez. Un., 4 novembre 2004, n. 21095; Cass., Sez. 1, 19 maggio 2005, n. 10599; 25 febbraio 2005, n. 4093). E’   stato altresì precisato che, in quanto fondate non già sull’esclusione dell’esistenza di una consuetudine consistente nel prevedere la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori nei contratti bancari, ma sull’impossibilità di ravvisare un uso normativo idoneo a giustificare, nel medesimo settore, una deroga ai limiti posti all’anatocismo dall’articolo 1283 cit., le ragioni di nullità individuate per le clausole di capitalizzazione non investono esclusivamente il profilo   della periodizzazione trimestrale, ma si estendono alla pratica dell’anatocismo in sé e per sé considerata, indipendentemente dalla cadenza con cui la stessa venga applicata. Si è pertanto esclusa la possibilità di riconoscere la legittimità della capitalizzazione annuale, in luogo di quella trimestrale, affermandosi comunque che, prima ancora di difettare del carattere di normatività, un uso siffatto non è individuabile neppure nella realtà storica, o almeno in quella dell’ultimo cinquantennio anteriore agli interventi normativi degli ultimi anni del secolo scorso, caratterizzato dalla diffusione dell’illegittima pratica della capitalizzazione trimestrale, alla quale non si è mai però affiancata quella della capitalizzazione annuale degli interessi debitori, né una pratica che implicasse un bilanciamento con gli interessi creditori (cfr. Cass., Sez. Un., 2 ottobre 2010, n. 24418; Cass., Sez. 3, 14 marzo 2013, n. 6550). E’ stato infine chiarito che la legittimità della pratica in questione non può essere desunta neppure dall’articolo 1831 c.c., che, in tema di conto corrente ordinario, prevede la chiusura periodica del   conto e la liquidazione del saldo, trattandosi   di una disposizione   non richiamata dall’articolo 1857 c.c.,   tra   quelle applicabili alle operazioni bancarie in conto corrente, e non suscettibile di estensione in via analogica, avuto riguardo alla diversità di struttura e funzione riscontrabile tra il contratto di conto corrente ordinario e quello di conto corrente bancario (cfr. Cass., Sez. 1, 2 luglio 2014, n. 15135; 5 luglio 2007, n. 15218; 18 gennaio 2006, n. 870). 2. – Alla stregua dei predetti principi, che il Collegio condivide ed intende ribadire anche in questa sede, il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, in considerazione del mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato — Omissis.

La Cassazione ha ribadito il proprio orientamento in merito alla questione del divieto di anatocismo nei rapporti di conto corrente bancario.

In materia di clausole anatocistiche nei rapporti bancari sorti antecedentemente al decreto legislativo n. 342 del 1999, la Giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che le clausole dei contratti bancari che prevedono la capitalizzazione trimestrale degli interessi devono considerarsi nulle per contrasto con la norma dell’art. 1283 cod. civ. il quale, nel legittimare l’anatocismo soltanto dal momento della domanda giudiziale ovvero per effetto di una convenzione posteriore alla scadenza degli interessi o ancora in presenza di usi normativi, non consente di identificare questi ultimi con le norme bancarie uniformi predisposte dall’ABI.

Infatti, tali pratiche possono al più essere considerate usi negoziali, in quanto prive del requisito soggettivo costituite dalla convinzione di prestare osservanza, attraverso il comportamento tenuto, ad una norma giuridica già esistente o che si ritiene debba far parte dell’ordinamento giuridico, c.d. opinio iuris ac necessitatis (cfr. già Cass., 11 novembre 1999, n. 12507).

Successivamente a tali pronunce di legittimità, il d. lgs. n. 342/1999 ha codificato la legittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente, rimandando la disciplina di dettaglio ad una delibera del C.I.C.R. e facendo salve, fino all’entrata in vigore della stessa delibera, la validità e l’efficacia delle clausole anatocistiche stipulate in precedenza.

Il legislatore aveva così inteso sanare tutti gli eventuali vizi delle pattuizioni relative alla produzione di interessi sugli interessi, contenute non soltanto in contratti stipulati anteriormente all’entrata in vigore del decreto, nonché in contratti conclusi a partire da quel momento e fino a quando non risultasse operativa la delibera del Cicr cui era demandato il compito di disciplinare la materia nel dettaglio.

Tuttavia, la Corte Costituzionale ha dichiarato, per violazione dell’art. 76 Cost., l’illegittimità costituzionale dell’art. 25, comma 3, d.lgs. n. 342/1999, nella parte in cui aveva fatto salva, fino all’entrata in vigore della delibera CICR del 9.2.2000, la validità e l’efficacia delle clausole anatocistiche stipulate in precedenza.

La Corte Costituzionale ha infatti chiarito che in ossequio ai principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, le clausole in parola restano disciplinate dalla normativa anteriormente vigente (Corte Cost. 17 ottobre 2000, n. 425, in Foro it., 2000, I, 3046).

La successiva giurisprudenza di legittimità, nel confermare quanto sostenuto nel 1999, ha inoltre escluso che il requisito soggettivo necessario per la configurabilità dell’uso normativo sia venuto meno per effetto del predetto orientamento giurisprudenziale, giacché la funzione della giurisprudenza è meramente ricognitiva dell’esistenza e del contenuto della regola, giammai creativa della stessa, e quindi la ricognizione correttiva spiega efficacia retroattiva (Cass., sezioni unite, 4 novembre 2004, n. 21095).

Ora, una volta affermata la nullità delle clausole cc.dd. anatocistiche, la sentenza annotata si è quindi preoccupata di rispondere alla questione relativa alla sostituzione delle clausole nulle con la disciplina che la norma dell’art. 1831 cod. civ. detta in tema di contratto di conto corrente ordinario, ritenendo che la norma dell’art. 1831 cod. civ. non è espressamente richiamata dall’art. 1857 cod. civ. tra quelle applicabili alle operazioni bancarie in conto corrente e quindi non è suscettibile di estensione analogica, anche in considerazione della diversa struttura e funzione riscontrabile tra i due tipi di contratti (cfr. sul punto Cass., 2 luglio 2014, n. 15135).

In altri termini, mentre nel conto corrente ordinario è prevista l’inesigibilità e l’indisponibilità delle somme a saldo fino alla chiusura del conto, nel conto corrente bancario è prevista la possibilità per il correntista di esigere in ogni momento il saldo attivo o disporne indirettamente, mentre la chiusura del conto o la liquidazione periodica dei saldi ha la funzione di rendere liquidi ed esigibili gli interessi, sia attivi, sia passivi, le spese e le commissioni (cfr. Trib. Monza, 21 marzo 2012).

E’ stato inoltre precisato che all’impossibilità di ravvisare un uso normativo idoneo a giustificare una deroga ai limiti posti dall’art. 1283 cod. civ., consegue che le ragioni di nullità individuate per le clausole di capitalizzazione non investono esclusivamente il profilo della periodizzazione trimestrale, ma si estendono alla partica dell’anatocismo in sé considerata, indipendentemente dalla cadenza con cui la stessa venga applicata.

Infine, va segnalato che l’art. 1, comma 629, della legge n. 147/2013, modificando il secondo comma dell’art. 120 TUB, ha reso illegittima a decorrere dal 1 gennaio 2014 qualsiasi prassi anatocistica nei rapporti bancari.

In particolare, la formulazione dell’art. 120 TUB derivante dalla predetta modifica legislativa è la seguente: «2. Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che: a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori; b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale».

Al riguardo, il Tribunale di Milano, in una delle prime applicazioni della norma in esame su istanza di un’associazione di consumatori, ha affermato che la norma circoscrive la portata della capitalizzazione degli interessi periodicamente conteggiati, escludendo che tale operazione contabile possa consentire alcun prodotto anatocistico (Trib. Milano, ord. 25 marzo 2015). Il giudice del merito ha avuto cura di chiarire che tale interpretazione deve considerarsi vincolata non solo e non tanto in considerazione e alla luce dei dati ermeneutici desumibili dalla relazione parlamentare al disegno di legge (inequivocabilmente diretta a vietare in radice qualsiasi forma di anatocismo nei rapporti bancari), nonché dall’implicita rinnovata manifestazione di volontà del legislatore in tal senso, desumibile dalla scelta di non convertire in legge il D.L. 24.6.2014 n. 91, il quale aveva reintrodotto la legittimità dell’anatocismo bancario (sia pure imponendo una periodicità di capitalizzazione non inferiore all’anno); ma soprattutto (tale interpretazione) si impone in forza del dato letterale della norma, in quanto se è vero che il legislatore non ha esplicitato il significato attribuito al termine “capitalizzare”, apparentemente utilizzato contraddittoriamente, altrettanto vero è che il dato normativo è lapidario là dove precisa che gli interessi non possano produrre ulteriori interessi, che viceversa vanno conteggiati solo sulla sorte capitale.

La norma, pertanto, secondo il Tribunale meneghino, non può che essere intesa come rivolta a vietare l’anatocismo nei rapporti bancari, di fatto introducendo in tale ambito una disciplina speciale più rigorosa della normativa ordinaria dettata dall’art. 1283 c.c. (con l’effetto che, se dal 2000 al 2013 la normativa speciale era rivolta ad ammettere nei rapporti bancari l’anatocismo in misura più ampia rispetto alla regola generale, oggi l’art. 1283 c.c. è derogato per i rapporti bancari in termini di maggior rigore, capovolgendo la disciplina previgente).

Né, d’altra parte, dal testo della norma emerge alcuna forma di subordinazione logica o temporale del dato normativo al successivo intervento regolamentare del C.I.C.R., pur dalla norma medesima richiamato, con la conseguenza che la scelta di mantenere in essere delle clausole contrattuali superate dall’intervento abrogativo del legislatore concreta una condotta omissiva contraria alla correttezza dovuta nei rapporti contrattuali ed evidenziata proprio dal disallineamento rispetto al testo di legge.

Pertanto, la eventuale perdurante applicazione di tali clausole fa sorgere il buon diritto del cliente di ripetere le somme così addebitategli in conto per il periodo successivo al 1 gennaio 2014.

Principio, quello espresso dal Tribunale di Milano, confermato da una parte della giurisprudenza di merito (Trib. Cuneo 29 giugno 2015; Trib. Biella 7 luglio 2015; Trib. Roma, 20 ottobre 2015) la quale, da un lato, ha chiarito che la norma apporta al sistema un innovativo divieto assoluto di capitalizzazione degli interessi; dall’altro, con riferimento ai rapporti tra la norma primaria e quella secondaria costituita dalla delibera del CICR in corso di approvazione, ha affermato l’immediata applicabilità del divieto anche nelle more dell’intervento del CICR stesso.

Di diverso avviso altra parte della giurisprudenza di merito secondo cui il nuovo art. 120 TUB non avrebbe invece efficacia immediatamente precettiva, in quanto l’iter normativo delineato dal legislatore non è ancora giunto a conclusione, essendo indispensabile la delibera CICR, come previso dall’art. 161, comma 5, TUB (Trib. Bologna, 25 marzo 2016; Trib. Cosenza, 05 maggio 2016; Trib. Torino, 16 giugno 2015).

Con l’art. 1 della legge 8 aprile 2016 n. 49, in sede di conversione del d.l. 14 febbraio 2016 n. 18, il legislatore è nuovamente intervenuto sulla formulazione dell’art. 120 TUB, sostituendo le lettere a) e b) del secondo comma con le seguenti: «a) nei rapporti di conto corrente o di conto di pagamento sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori, comunque non inferiore ad un anno; gli interessi sono conteggiati il 31 dicembre di ciascun anno e, in ogni caso, al termine del rapporto per cui sono dovuti; b) gli interessi debitori maturati, ivi compresi quelli relativi a finanziamenti a valere su carte di credito, non possono produrre interessi ulteriori, salvo quelli di mora, e sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale; per le aperture di credito regolate in conto corrente e in conto di pagamento, per gli sconfinamenti anche in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido: 1) gli interessi debitori sono conteggiati al 31 dicembre e divengono esigibili il 1º marzo dell’anno successivo a quello in cui sono maturati; nel caso di chiusura definitiva del rapporto, gli interessi sono immediatamente esigibili; 2) il cliente può autorizzare, anche preventivamente, l’addebito degli interessi sul conto al momento in cui questi divengono esigibili; in questo caso la somma addebitata è considerata sorte capitale; l’autorizzazione è revocabile in ogni momento, purché prima che l’addebito abbia avuto luogo».

Nel dare attuazione alle disposizioni di legge, la delibera stabilisce: a) che gli interessi sono contabilizzati separatamente dal capitale; b) che, in linea con la legge, gli interessi debitori divengono esigibili dal 1° marzo dell’anno successivo a quello in cui sono maturati; in ogni caso prima che gli interessi maturati diventino esigibili, si richiede che al cliente venga assicurato un periodo pari ad almeno 30 giorni da quando egli abbia avuto effettiva conoscenza dell’ammontare degli interessi stessi; in questo modo il cliente ha a disposizione un lasso temporale adeguato per pagare il debito da interessi senza risultare inadempiente; c) che, ribadendo quanto già previsto in norma primaria, è consentito che il cliente e la banca possono pattuire – al fine di evitare il pagamento della mora con l’avvio di azioni giudiziarie – il pagamento degli interessi con addebito in conto a valere sul fido (con conseguente produzione di interessi su quanto utilizzato per estinguere il debito da interessi). Il termine ultimo entro il quale le banche e gli altri intermediari finanziari devono porre in essere la delibera è quello del 1° ottobre 2016.